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Domenica II tempo ordinario

In ascolto di Giovanni 2, 1-11.

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.

Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

È la prima domenica del tempo ordinario e subito Gesù manifesta la sua gloria: fin dall’inizio ci è mostrata la fine, il punto d’arrivo, il fine. L’ora del Figlio è ormai giunta definitivamente: ogni presente è compimento del tempo, momento opportuno per vivere in pienezza la festa di nozze. Non siamo soli: Gesù è invitato, per sempre al nostro fianco.

Ciò nondimeno, alla nostra vita viene a mancare il vino: è l’esperienza di tutti. Il problema non è l’essenziale: di che mangiare o vestirsi (Mt 6, 25. 31), il lavoro o gli affetti. Gli uomini vivono e sanno fare del mondo la propria dimora. No, quello che manca è il vino: il sovrappiù, il superfluo, la gioia. Siamo capaci di portare avanti i nostri giorni, fino alla fine: ma tiepidi (Ap 3, 16), senza cantare né danzare. Giustamente allora non ci sentiamo mai soddisfatti: non bastiamo a noi stessi, perché siamo fatti per l’abbondanza, per l’eccedenza, per l’infinito. Non è sufficiente sopravvivere per vivere: la vita è sorgente (Gv 4, 14), sorriso, gioia. Se il fico non porta frutto, è già secco (Mt 21, 19); se il roveto non arde, è spento, polvere e cenere. Se l’esistenza non è festa, è lutto: se non si celebrano le nozze, è morte; se non si concepisce e partorisce, si abortisce. Ora, però, non abbiamo che acqua a nostra disposizione: manca lo Spirito. Che fare? Gesù ordina di riempire di acqua le anfore di pietra fino all’orlo, nient’altro che di acqua: nulla di straordinario! Egli stesso ha vissuto trent’anni a Nàzaret, condividendo in tutto la vita degli uomini. Non serve un altro cibo od altri vestiti, non altri affetti od un altro lavoro. Basta fare tutto quello che egli dice: versarsi come acqua, donarsi come pane. Ed ecco che l’acqua diventa vino, profumo, luce: questo giorno è già il terzo giorno, il giorno della resurrezione, e la vita degli uomini manifestazione della gloria di Dio.

(Massimiliano Zupi, Ecco sto alla porta e busso,
pag. 47-48, 2019)